Per l’uomo primitivo è soprattutto la paura a evocare le nozioni religiose: paura della fame, delle bestie feroci, della malattia, della morte. Poiché a questo stadio dell’esistenza la comprensione delle connessioni causali è solitamente poco sviluppata, la mente umana crea esseri illusori più o meno analoghi a sé stessa, esseri dalle cui volontà e azioni questi spaventosi eventi dipendono. Si cerca così di assicurarsi il favore di questi esseri eseguendo azioni e offrendo sacrifici che, secondo la tradizione tramandata di generazione in generazione, propiziano il loro favore e li rendono ben disposti verso un mortale. E in questo senso che parlo di una religione della paura. Essa è notevolmente consolidata, sebbene non creata, dalla formazione di una speciale casta sacerdotale che si presenta come mediatrice tra le persone e gli esseri che queste temono, e che su tale base erige la propria egemonia. In molti casi una guida, un regnante o una classe privilegiata la cui posizione poggia su altri fattori combina le funzioni sacerdotali con la sua autorità temporale così da rendere quest’ultima più sicura; oppure i reggenti politici e la casta sacerdotale fanno causa comune nel proprio interesse.
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Ma c’è un terzo stadio dell’esperienza religiosa che appartiene a tutti, sebbene esso si trovi di rado in una forma pura: lo chiamerò il sentimento religioso cosmico. Elucidare questo sentimento a chiunque ne sia completamente privo è qualcosa di molto difficile, specie perché non vi è alcuna concezione antropomorfica di Dio che gli corrisponda.
L’individuo percepisce la futilità di tutti i desideri e obiettivi umani, e la sublimità e l’ordine meraviglioso rivelati sia dalla natura che dal mondo del pensiero. L’esistenza individuale lo opprime come se fosse una sorta di prigione, ed egli vuole fare esperienza dell’universo come un tutto ricco di significato.
Alber Einstein, tratto da: Pensieri, idee e opinioni