I teofilantropi (“Amici di Dio e dell’uomo”) sono stati una setta deistica, formatasi in Francia durante l’ultima parte della Rivoluzione francese.
Origini
Thomas Paine, insieme ad altri discepoli di Rousseau e Robespierre, istituì una nuova religione, in cui si sarebbero combinati il deismo di Rousseau e la virtù civica (rè de la vertu) di Robespierre. Jean-Baptiste Chemin scrisse il Manuel des théopanthropophiles e Valentin Haüy offrì il suo istituto per ciechi come luogo provvisorio di incontro. Quando, in seguito, la Convenzione cedette loro la chiesetta di Sainte Catherine, a Parigi, la nascente setta conquistò alcuni seguaci e protettori; tuttavia il suo progresso fu lento fino a quando Louis Marie de La Révellière-Lépeaux, un membro influente del Direttorio, ne prese la causa.
Ma fu solo dopo la Rivoluzione del 18 Fructidor, che lasciò La Révellière-Lépeaux padrone della situazione, che la sua simpatia diede i suoi frutti nell’apogeo del teofilantropo. Mescolato in un certo senso con la culte décadaire, entrò in possesso di alcune delle grandi chiese di Parigi come Notre Dame de Paris, Saint-Jacques du Haut Pas, St-Médard ecc.; prese una parte cospicua in tutte le celebrazioni nazionali e dalla metropoli passò alle province, principalmente al dipartimento dell’Yonne.
Il movimento, nonostante una forte opposizione da parte dei cattolici, stava gradualmente prendendo piede tra le masse quando il Direttorio lo pose bruscamente fine. Napoleone Bonaparte soppresse il movimento.
Reazione cattolica
Il clero costituzionale, nel consiglio nazionale di Notre Dame nel 1797, protestò contro la nuova religione e Henri Grégoire scrisse nei suoi Annales de la Religion (VI, n. 5):
“Il teofilantropo è una di quelle istituzioni derisorie che pretendono di portare a Dio proprio quelle persone che scacciano da Lui estraniandole dal cristianesimo… Aborrito dai cristiani, è respinto dai filosofi che, pur non sentendo il bisogno di una religione per se stessi, vogliono ancora che il popolo si aggrappi alla fede dei loro padri».
Papa Pio VI il 17 maggio 1800 pose l’interdetto alle chiese che erano state usate dai deisti, e il cardinale Consalvi, nel corso delle trattative per il Concordato del 1801, chiese che si ponesse rapidamente fine al loro uso delle chiese cattoliche .
Storia successiva
Nel corso del diciannovesimo secolo furono fatti sporadici tentativi di far rivivere il teofilantropo. Nel 1829 Henri Carle fondò L’alliance religieuse universelle1, con La libre conscience come organo, ma sia la società che il periodico scomparvero durante la guerra franco-prussiana. Nel 1882 Décembre e Vallières, attraverso La fraternité universelle e molte pubblicazioni simili, cercarono direttamente di riorganizzare la setta, ma il tentativo fallì e, nel 1890, Décembre confessò l’impossibilità di destare l’interesse pubblico. Il voluminoso libro di Camerlynck, Théisme, pubblicato a Parigi nel 1900, aveva uno scopo simile e andò incontro a un destino simile.
Credenze e organizzazione
Il teofilantropo è stato descritto nel Manuel du théophilanthropie, di cui sono state fatte nuove edizioni man mano che i lavori procedevano. L’organo di governo era composto da due comitati, uno chiamato “comité de direction morale”, incaricato dello spirituale, l’altro chiamato “comité des administrateurs” incaricato delle temporalità.
Nessun credo dogmatico è stato imposto agli aderenti alla nuova religione, ai due principi fondamentali, vale a dire. L’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, essendo credenze puramente sentimentali (croyances de sentiment) ritenute necessarie per la conservazione della società e il benessere degli individui. L’insegnamento morale, considerato la caratteristica principale del movimento, si collocava in una posizione intermedia tra la severità dello stoicismo e il lassismo dell’epicureismo. Il suo principio fondamentale era buono: buono è tutto ciò che tende a preservare e perfezionare l’uomo; il male è tutto ciò che tende a distruggerlo o danneggiarlo. È alla luce di quell’assioma e non della norma cristiana – nonostante la fraseologia – che dobbiamo considerare i comandamenti riguardanti l’adorazione di Dio, l’amore del prossimo, le virtù domestiche e il patriottismo.
Il culto teofilantropo era dapprima molto semplice e destinato principalmente alla casa: consisteva in una breve invocazione a Dio al mattino e in una specie di esame di coscienza a fine giornata. Un semplice altare su cui erano adagiati fiori e frutti, alcune iscrizioni appese alle pareti, una piattaforma per i lettori o gli oratori, erano gli unici arredi consentiti. I fondatori erano particolarmente ansiosi che questa semplicità fosse rigorosamente rispettata. Tuttavia, il progresso della setta portò gradualmente a un cerimoniale più elaborato. È ben lontano dai primi incontri in cui il ministro o père de famille, presiedeva la preghiera o imitava il battesimo cristiano, la prima comunione, i matrimoni oi funerali, alla splendida esibizione delle cosiddette feste nazionali. C’era anche una messa teofilantropo, che, tuttavia, si avvicinava molto di più a un servizio calvinista che alla liturgia cattolica.[citazione necessaria]
Degli inni adottati dalla setta, alcuni tratti dagli scritti di J.B. Rousseau, Madame Deshoulières, o anche Racine, respirano uno spirito nobile ma, accanto a questi, ci sono elucubrazioni roboanti come l'”Hymne de la fondation de la ré ” e l'”Inno alla souverainete du peuple”. La stessa strana combinazione si trova nelle feste in cui Socrate, Jean-Jacques Rousseau e San Vincenzo de’ Paoli sono ugualmente onorati e nel sermone in cui arringhe politiche si intrecciano esortazioni morali. Nell’orazione funebre di Dubroca di George Washington l’oratore, sotto la copertura dell’eroe americano, si rivolse al nascente Napoleone Bonaparte.
La prima idea della setta appartiene davvero a David Williams, un ministro gallese che esercitò una notevole influenza a Parigi durante la Rivoluzione. Chemin consultò i calvinisti prima di lanciare il suo Manuel.
- 1. Lynn Sharp, ”Secular Spirituality: Reincarnation and Spiritism in Nineteenth-century France” (2006), p. 30. ↩︎